Non più imprenditori succubi della ‘ndrangheta, ma «un patto di reciproca convenienza con gli interessi delle mafie e gli appetiti imprenditoriali che convergono in un rapporto interattivo, fondato non più sulla coercizione». Con queste severissime conclusioni il Tribunale “Misure di prevenzione” di Reggio Calabria ha disposto un sequestro beni di rilevante entità. Cinquanta milioni di euro tra compendi societari, beni mobili e immobili, rapporti finanziari. Con l’operazione “Energie pulite” nel mirino della Guardia di Finanza e della Dia, e su richiesta congiunta della Procura nazionale antimafia e Dda di Reggio, sono finiti tre imprenditori di primo piano del panorama reggino: Antonino Scimone (classe 1975), Antonino Mordà (classe 1969) e Pietro Canale (classe 1979). Tutti e tre «imprenditori mafiosi», secondo il procuratore nazionale, Federico Cafiero de Raho, e il procuratore di Reggio, Giovanni Bombardieri.
