“Reset”, smontato il filone politico. Esclusa l’esistenza del “terzo livello”

I miasmi della ’ndrangheta, che risalgono dalle viscere di questa porzione di Calabria, disegnarono gli spigoli della maxi-inchiesta “Reset”. Una indagine della Dda di Catanzaro che, accanto al Cosentino noto, tre anni fa, svelò l’altra provincia, quella muta che galleggiava nella penombra, dominata dagli eredi delle storiche “coppole”. Una terra che i sette casati di mafia avevano trasformato in una miniera d’oro, con affari e malaffari in grado di moltiplicare le risorse e riempire la “bacinella”. E ieri, intorno alle 13.34, “in nome del Popolo italiano”, il Tribunale di Cosenza (presidente: Carmen Ciarcia; a latere: Urania Granata e Iole Vigna), in trasferta nell’aula bunker di Castrovillari, ha fissato i nuovi confini del perimetro mafioso che modificano gli scenari ipotizzati e spezzano l’architrave delle accuse. Oltre un’ora per leggere il dispositivo della sentenza pronunciata nei confronti dei 121 imputati che avevano scelto il rito ordinario. Cinquantotto i condannati (a poco più di 4 secoli di carcere in totale), 63 gli assolti. Un verdetto a metà, dunque.