Dal Sudamerica sulle navi fino al porto Gioia Tauro, poi dai depositi al naso dei clienti: la Dda, come conferma anche l’ultima maxi-inchiesta “Eureka”, continua a tracciare nei dettagli le rotte della cocaina gestite dalla ’ndrangheta. Fiumi di droga continuano ad arrivare secondo uno schema che si ripete, con l’inevitabile complicità di operatori portuali infedeli. Ognuno ha un compito preciso. Ricevendo – secondo la Procura antimafia di Reggio – «come corrispettivo il 20% del carico», vere e proprie “squadre” si occupano di portare lo stupefacente fuori dall’area portuale. E da lì si dipana un’altra “filiera”, fatta di trasportatori e corrieri. C’è chi si occupa di modificare le auto per nascondere i panetti, chi di guidarle, chi di allestire e sorvegliare i depositi. E anche su questi aspetti l’operazione “Eureka” affonda nei dettagli. Depositi sarebbero stati a disposizione, stando a quelli citati nell’ordinanza di custodia cautelare, non solo nei paraggi del porto di Gioia Tauro, ma anche a Pescara e Roma, dove «lo stupefacente veniva stoccato e via via consegnato ai corrieri», ma anche si pagavano «i medesimi corrieri per l’opera prestata» e si «ricevevano e custodivano i proventi delle cessioni, nonché contabilizzavano le entrate», annotano gli inquirenti.
