Così la mafia catanese comandava anche dal carcere: il blitz “Leonidi bis” ricostruisce le dinamiche della cosca Santapaola-Ercolano

Diversi capi storici della “famiglia” catanese di Cosa nostra avrebbero dato ordini dal carcere, in cui erano detenuti, in varie parti d’Italia, continuando «ininterrottamente a esercitare la loro attività di indirizzo e controllo delle dinamiche criminali comunicando con i sodali liberi attraverso dispositivi telefonici che si erano procurati illecitamente e che detenevano negli istituti penitenziari». E’ quanto emerge dall’inchiesta “Leonidi bis” della Dda di Catania contro una frangia della cosca Santapaola-Ercolano rilevando che questo «dimostrerebbe l’assoluta permeabilità degli istituti penitenziari alla ricezione e all’ingresso di dispositivi di comunicazione che consentirebbero agli affiliati detenuti di mantenere contatti quotidiani con i sodali liberi, in modo da impartire le loro direttive». L’operazione ‘Leonidi bis’ ha interessato 13 indagati.