Dall’eversione neofascista alla mafia. Nel corso degli ultimi quarantacinque anni si sono seguite più piste investigative per far luce sull’omicidio di Piersanti Mattarella, l’allora presidente della Regione Siciliana ucciso il 6 gennaio del 1980 a Palermo mentre si recava in auto a messa. Inizialmente si pensò a un attentato terroristico, poiché subito dopo il delitto arrivarono rivendicazioni da parte di un sedicente gruppo neofascista, poi si è fatto strada l’omicidio politico-mafioso. L’inchiesta ha vissuto diverse fasi con testimonianze di collaboratori di giustizia, la pista dei Nar e un nuovo filone incentrato sui rapporti tra Cosa nostra palermitana e l’eversione di estrema destra. Il primo a fornire un rilevante contributo investigativo fu Cristiano Fioravanti che indicò responsabilità da parte del fratello Valerio, figura di spicco dei Nuclei Armati Rivoluzionari, rivelando che avrebbe goduto di appoggi da parte dell’estrema destra palermitana. Negli anni si è ipotizzata una convergenza di interessi tra mafia ed eversione nera. Tesi sposata anche da Giovanni Falcone, che indagò sul delitto, secondo cui il movente era da ricercare nella «manovra moralizzatrice» del governatore Dc.
