Gino Rannesi ha fatto la sua scalata criminale da giovanissimo all’interno del clan del Malpassotu, fondato dal boss Giuseppe Pulvirenti. Accanto a lui anche i suoi fratelli Giuseppe, Salvatore e Carmelo. Un grosso pezzo della sua esistenza lo ha passato in carcere, non mancano su internet i suoi scritti sulla condizione dei detenuti. Poi, nonostante l’ergastolo per mafia e omicidi, qualche anno fa è tornato in libertà. Nella sua Lineri. Sempre sul web si legge una sorta di lettera dove racconta l’accoglienza ricevuta della sua cittadina appena ha messo il piede fuori. In quella pagina di diario sembra aver messo la parola fine alla «vecchia vita». Prospetta anche il progetto di lasciare Catania. Ma purtroppo, leggendo le carte dell’inchiesta Sabbie Mobili, quelle parole sembrano state scritte sulla sabbia. Perché Gino Rannesi non ha voltato pagina. Anzi. Il boss di Lineri ha (ri)preso lo scettro del comando e ha cominciato a chiedere – a tappeto – estorsioni a società, pizzerie, parrucchieri, ottici. Dall’Etna al mare. Ai suoi ordini un gruppo di esattori che hanno lavorato per portare soldi alla squadra del clan Santapaola-Ercolano.
