Soldi e potere e al centro di tutto doveva tornare a esserci lui. Pino Piromalli, come emerge dalle carte dell’inchiesta, era furente contro il presunto “lassismo” dei fratelli Gioacchino e Antonio, che per paura del carcere avevano assunto un ruolo troppo defilato e fatto fare passi indietro al clan nel controllo del territorio e della attività economiche: chi passa da Gioia Tauro deve pagare; e ce l’aveva soprattutto con suo nipote Gioacchino, che si sarebbe appropriato della maggior parte degli introiti illegali della cosca. «La fotografia che restituisce la presente indagine è che i fratelli maggiori di Pino – si legge nelle carte – avevano sempre mantenuto un ruolo attivo nelle dinamiche associative, acquisendo sistematicamente i proventi illeciti che dovevano, secondo regola mafiosa, essere divisi tra i tre fratelli Gioacchino, Antonio e Giuseppe, ma soprattutto si evidenzia che i primi trattenevano, indebitamente, anche la quota spettante al fratello detenuto. Tuttavia, la forte preoccupazione di incappare nelle maglie della giustizia aveva portato Gioacchino cl. 34 e Antonio cl. 39, pur non dismettendo il proprio ruolo di capi, ad evitare eccessive esposizioni finendo per mortificare l’autorevolezza stessa della cosca, che inevitabilmente doveva passare per una presenza effettiva, visibile e percepibile dei capi sul territorio».
