I padroni di Arghillà, la “Caivano” di Reggio nord. Il clan dei nomadi spadroneggiava a tal punto da “provare” le armi a loro disposizione esplodendo fucilate anche in pieno giorno e tra i ragazzini che giocavano a pallone a pochi metri di distanza. Nella loro roccaforte si ritenevano blindati, protetti come erano dall’omertà del rione. Su di loro c’erano però le attenzioni dei Carabinieri del generale Cesario Totaro a cui non era passata inosservata l’escalation criminale dei rom. Ad Arghillà, ovviamente ben nascoste in spazi comuni, nei sottotetti di edifici semi abbandonati o in garage improvvisati, murate nei sottoscala, custodivano armi, munizioni ed esplosivo pronti per ogni evenienza. Per consumare attentati intimidatori, regolare i conti con chiunque osasse contrapporsi o potesse intaccare i loro affari sporchi. Spaccio stupefacenti in primis.