«Esclusa la circostanza aggravante di cui all’articolo 416-bis, comma 6 codice penale». Una frase che ritorna più volte nella sentenza della Corte d’appello emessa giovedì sera nell’aula bunker di Lamezia per i 214 imputati di Rinascita Scott. Dietro al linguaggio tecnico si cela una modifica sostanziale del castello accusatorio messo in piedi con la maxi operazione del dicembre 2019. Per i giudici di secondo grado la ‘ndrangheta vibonese esiste ed è radicata sul territorio, il dibattimento però non avrebbe dato prova dell’infiltrazione delle cosche nella vita economica dell’area. L’aggravante esclusa dai giudici punisce infatti il reimpiego dei capitali illeciti. Ricorre quando gli affiliati riescono a penetrare in un determinato settore della vita economica e si pongono nelle condizioni di influire sul mercato finanziario e sulle regole della concorrenza, finanziando, in tutto o in parte, le attività con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti. Insomma la ‘ndrangheta vibonese non sarebbe una holding criminale capace di allungare i suoi tentacoli sui settori produttivi del territorio. Da questa decisione dei giudici derivano gli sconti di pena di cui hanno beneficiato anche esponenti di primissimo piano delle cosche.
