Una lavanderia per “ripulire” i soldi del clan Muto.

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Una lavanderia industriale che non ripuliva soltanto abiti, piumoni e quant’altro. Una società che sarebbe stata invece finanziata col provento di attività illecite, escamotage per mettere i soldi sporchi in “centrifuga” per farli poi uscire senza macchie che potessere attirare attenzioni poco benevole da parte degli organi di giustizia. Un’azienda formalmente intestata a una donna che secondo la magistratura, però, era sostanzialmente gestita dal luogotenente di uno dei principali boss del Cosentino, se non il più temuto e rispettato: Franco Muto di Cetraro, noto anche come “re del pesce”.