Aveva un “esercito” di 500 affiliati sparsi in tutta Italia e pronti a eseguire gli ordini del boss, ma Nicolino Grande Aracri poteva contare su una rete di “invisibili” nascosti ovunque, dalle stanze della politica, nel mondo dell’imprenditoria e addirittura in Vaticano. Lui stesso in una intercettazione racconta quali erano le sue priorità: «A me mi servono i cristiani buoni, mi servono… mi servono avvocati, ingegneri, architetti». Dalla sua tavernetta a Cutro, dove gli inquirenti erano riusciti a piazzare una microspia, il boss sarebbe riuscito a gestire i suoi affari, un complesso sistema di riciclaggio dei soldi sporchi.
