Falcone e Borsellino, i conti ancora aperti a 33 anni dalle stragi e il rischio di nuovi veleni

Trentatré anni sono trascorsi dalle stragi che uccisero Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, gli stessi che aveva Gesù di Nazareth quando fu crocifisso. Chiunque sbarchi a Palermo con l’aereo viene accolto, nella sala arrivi, dalla mostra fotografica che racconta vite, opere e morte di questi due martiri civili, ai quali è intitolato lo scalo di Punta Raisi, dalla nascita nello stesso quartiere fino alle due bombe esplose il 23 maggio 1992 a Capaci e il 19 luglio in via D’Amelio, che eliminarono anche la moglie di Falcone, Francesca Morvillo, e otto poliziotti delle due scorte.  Le immagini ripercorrono il lavoro e i successi dei due magistrati e del loro pool, il pentimento di Tommaso Buscetta e il maxiprocesso a Cosa nostra, ma anche le polemiche sui «professionisti dell’antimafia» e nel «palazzo dei veleni» da cui Falcone fu costretto ad andarsene e che Borsellino definì un «nido di vipere»; un luogo di divisioni e contraddizioni emerse quando erano ancora in vita e riesplose dopo la loro morte. Con effetti e conseguenze che ancora oggi rischiano di condizionare l’antimafia politica e giudiziaria.