Le scommesse, un debito di 2.500 euro così padre e figlio hanno ucciso il boss

Era un boss di primo piano l’uomo ucciso lunedì sera allo Sperone. «Giancarlo Romano era un astro nascente nel panorama mafioso di Brancaccio», ha scritto la sostituta procuratrice della Dda Francesca Mazzocco nel provvedimento di fermo per Camillo e Antonio Mira, padre e figlio, il primo accusato dell’omicidio del boss e del ferimento del suo socio (Alessio Caruso), il secondo solo del ferimento. A 37 anni era già un potente Romano, «nella famiglia di corso dei Mille, uomo di assoluta fiducia di Antonio Lo Nigro, di cui aveva preso il posto dopo il suo arresto». Ma è morto comunque, freddato da uno dei tanti galoppini delle scommesse clandestine che si muovono nella periferia orientale della città. «Avevo un debito di 2.500 euro», ha ammesso Camillo Mira davanti ai poliziotti della squadra mobile e della Sisco, la sezione investigativa del Servizio centrale operativo. «Se non avessi sparato io, lo avrebbero fatto loro contro i miei familiari».