«Non era Cosimo Commisso al vertice del clan di Siderno».

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«La corte napoletana ha proceduto proprio a una valutazione, al tempo stesso specifica e complessiva, di tutte le prove: quelle già acquisite, consacrate nel giudicato penale, e le nuove, saggiando la resistenza rispetto a queste ultime delle prove a suo tempo poste a fondamento della pronuncia di condanna. E invero la motivazione del giudice di appello appare affatto carente o contraddittoria, né viziata da manifesta illogicità, concretizzandosi, piuttosto, in un approfondito percorso argomentativo, articolatosi attraverso una serie di passaggi, logicamente coerenti, che conducono a smentire il fulcro dell’assunto accusatorio, rappresentato dalla affermata qualità di “capo clan” in capo al Commisso Cosimo». Lo scrivono i giudici della Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui il 28 gennaio scorso hanno dichiarato inammissibile il ricorso della Procura Generale di Napoli contro la decisione della Corte di Appello partenopea che in sede di revisione del processo ha assolto dopo 26 anni di reclusione Cosimo Commisso, classe 1950, per gli inquirenti appartenente alla famiglia di Siderno inteso “quagghia”, con la formula «per non aver commesso il fatto» dalla pesante accusa di essere stato il mandante di 5 omicidi e 3 tentati omicidi commessi tra il maggio del 1989 e il luglio del 1991, nell’ambito della “Faida di Siderno”.