Un terremoto per il clan già diviso tra collaboratori e irriducibili

In via Bologna al numero 8, il portone è sbarrato. Si sente solo il miagolio di un gatto. Francesco Schiavone, “Sandokan”, è cresciuto in queste stanze, che ormai da undici anni sono divise da un muro. Un pezzo della casa è stato confiscato dallo Stato e ora è gestito da “La forza del silenzio”, un’associazione che si occupa di ragazzi autistici. C’è stato un tempo in cui in questo posto viveva una famiglia unita, e che incuteva timore. Via Bologna era il luogo del comando, la residenza del capo clan. Qui si decideva sulla vita e della morte di tante persone. Si decidevano i destini di imprenditori, aziende e amministrazioni comunali. Ci vivevano il capostipite, Nicola Schiavone, padre di Francesco, la moglie Teresa Diana e poi la numerosa famiglia di Sandokan: la moglie Giuseppina Nappa e sette figli, cinque maschi (Nicola, Walter, Carmine, Emanuele Libero, Ivanhoe) e due femmine (Chiara e Angela). Quella famiglia così unita da sembrare un monolite non c’è più.