Quando la Chiesa sfidò Cosa nostra e la mafia rispose con le bombe

Nella notte tra il 27 e 28 luglio 1993, Cosa nostra faceva esplodere tre autobomba: una in via Palestro a Milano e due a Roma, davanti alle chiese di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio al  Velabro. Con quegli attentati, come già con quello agli Uffizi di due mesi prima, la mafia corleonese riprendeva, come hanno stabilito processi e sentenze, la strategia di sfida allo Stato culminata nel 1992 con le stragi di Capaci e via D’Amelio. Ma le bombe romane erano anche una sfida alla Chiesa e alla sua capacità di orientare la cultura antimafia del Paese. Una capacità ritenuta temibile dai mafiosi e che ossessionava il capo di quella Cosa nostra, Totò Riina, che decenni dopo continuava a inveire e a minacciare il Papa che «faceva antimafia». Il 9 maggio 1993, cioè solo due mesi prima delle bombe alle chiese romane, Giovanni Paolo II aveva pronunciato nella Valle dei templi la sua storica omelia, lanciando la sfida cristiana ai mafiosi, con quel «Convertitevi! » gridato davanti a decine di migliaia di siciliani.